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La conversione termochimica dell’energia presente nelle biomasse vegetali può essere ottenuta con diversi processi, quali la combustione, la pirolisi e la gassificazione.

La combustione è il processo più tradizionale, per essere efficiente richiede la riduzione del contenuto d’acqua della biomassa, riduzione che in genere viene ottenuta essiccando i prodotti al sole. Ad esempio l’energia prodotta dalla combustione di 1 kg di legno secco è di circa 1.25X107 J. Se partiamo però da un prodotto con il 10% di materia secca, possiamo stimare che per far evaporare 9 kg di acqua necessitiamo di circa 2.2X107 J, da ciò si deduce che il processo di combustione è utilizzabile solamente se partiamo da prodotti aventi il più basso grado di umidità possibile, e comunque l’essicazione deve avvenire attraverso l’azione del sole, che rende il processo economicamente conveniente. La combustione è da un punto di vista termodinamico, un processo di conversione dell’energia chimica del combustibile (biomasse) in calore. Il calore si genera grazie alla reazione di ossidazione del carbonio in presenza di sufficiente ossigeno secondo la reazione: C+O2 ➝ CO2 + calore In Italia esistono circa 40 grossi impianti per la produzione di energia dalla combustione di biomasse, generalmente residui della lavorazione del legno, per una potenza elettrica totale di circa 330 MW. Tali impianti sono di tipo cogenerativo, nel senso che l’energia finale è data da calore ed energia elettrica. Parte del calore prodotto viene infatti utilizzato per produrre vapore che serve ad alimentare delle turbine collegate a dei generatori elettrici. La parte di calore rimanente può essere impiegata per utenze industriali o residenziali. L’efficienza di tali impianti è dell’ordine del 20-25 %, quindi piuttosto modesta. Tale rendimento si può abbassare ulteriormente se la biomassa di partenza ha un potere calorifico basso, dovuto essenzialmente ad un contenuto di umidità elevato. Gli impianti di cogenerazione per poter ottenere rendimenti vicini al 25% devono essere medio-grandi, cioè avere circa 10 MW di potenza elettrica. Per generare tali potenze le quantità di biomasse da bruciare diventano considerevoli, rendendo necessari complessi e costosi sistemi di abbattimento delle sostanze tossiche presenti nei fumi. In definitiva gli impianti che producono energia utilizzando la combustione delle biomasse vegetali possono interessare prevalentemente le piccole utenze domestiche. In effetti il mercato rende già disponibili caldaie che possono essere alimentate a legna, a cippato di legna, a granella di mais, a pellet, che consentono di provvedere alle necessità di riscaldamento e produzione di acqua calda sanitaria.
La pirolisi è un processo di conversione termochimica della materia organica, chiamata anche distillazione a secco, che si basa sulla trasformazione della biomassa ad opera del calore, in forte carenza di ossigeno. In pratica la pirolisi si può applicare a qualsiasi materiale organico purché a basso contenuto di acqua (< 15%). Il materiale viene portato a temperature comprese tra i 200 e i 700 °C, talvolta immettendo opportune quantità di ossigeno che consentono l’innesco di una parziale combustione che porta ad un’aumento della temperatura. Come prodotto finale si ottengono prodotti gassosi, liquidi e solidi in percentuale dipendente dai parametri di reazione. La ricerca in merito ha portato a sviluppare tre tipi di pirolisi:
• pirolisi lenta, ottenuta con temperature minori di 600 °C, e lungo periodo di permanenza a tali temperature; il prodotto principale ottenuto è un carbone da legna che rappresenta circa il 30% della sostanza secca iniziale;
• pirolisi veloce, ottenuta con temperature tra i 500 e 650 °C: si ottengono prodotti gassosi che raggiungono l’80% del peso iniziale;
• flash pirolisi, condotta con temperature sui 650 °C e tempi di permanenza molto ridotti a tali temperature, inferiori ad 1 secondo; consente di ottenere un 60% di prodotti liquidi.
La flash pirolisi è il processo più promettente, in quanto consente di trasformare la biomassa in un prodotto liquido chiamato bioolio o raw tar, ad elevato contenuto energetico, facilmente trasportabile e conservabile per lungo tempo senza problemi di degradazione. Allo studio della pirolisi vengono destinate ingenti risorse in tutto il mondo, attualmente tale processo è ancora in una fase sperimentale.
La gassificazione è un processo fisico chimico per mezzo del quale si trasforma un combustibile solido (legno, biomasse vegetali in genere) in un combustibile gassoso. Il processo consiste in una ossidazione incompleta dei composti carboniosi portati ad elevata temperatura (circa 1000 °C) in ambiente carente di ossigeno. Il gas ottenuto, chiamato syngas, può essere utilizzato direttamente per alimentare motori a combustione interna utilizzabili per la produzione di energia elettrica. Il syngas è una miscela di azoto, metano, idrogeno, monossido di carbonio ed altri gas. Il rendimento dei gassificatori per la produzione di energia elettrica è dell’ordine del 30-35%, valori nettamente superiori agli impianti a combustione. La maggior complessità impiantistica, unita ad alcune problematiche non ancora risolte relative alla depurazione del syngas, relega tale processo alla fase di impianti pilota. La gassificazione delle biomasse legnose può costituire inoltre una straordinaria opportunità per ottenere a costi relativamente bassi idrogeno, da utilizzare, per esempio, nelle celle a combustibile. In Italia si stanno facendo sperimentazioni in merito, utilizzando un’impianto pilota che gassifica lolla di riso e residui legnosi.
(fonte: "Agronomica" n. 4/2005)
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